Consulenza o appalto? La Corte dei Conti chiarisce i confini sugli incarichi professionali degli ingegneri nella P.A.
Una pronuncia che guida enti locali su come distinguere correttamente tra incarichi professionali e appalti di servizi, evitando sanzioni per qualificazioni errate e responsabilità erariali.

La distinzione tra consulenza professionale e appalto di servizi di ingegneria rappresenta da anni un nodo critico per le Pubbliche Amministrazioni, spesso chiamate ad affidare incarichi a professionisti esterni. Una scelta solo apparentemente formale che, in realtà, comporta conseguenze significative sul piano delle procedure, dei controlli e delle eventuali responsabilità erariali. La recente delibera della Corte dei Conti Emilia-Romagna ha riacceso l’attenzione sul tema, chiarendo quali siano i confini giuridici tra i due istituti e offrendo indicazioni pratiche agli enti locali.
Una pronuncia che guida enti locali su come distinguere correttamente tra incarichi professionali e appalti di servizi, evitando sanzioni per qualificazioni errate e responsabilità erariali.
Una recente decisione della Corte dei Conti dell’Emilia‑Romagna (delibera n. 89/2025/VSG, 24 luglio 2025) affronta con rigore la delicata distinzione tra incarichi professionali di consulenza e appalti di servizi di ingegneria, ribadendo che la forma giuridica prescelta influenza procedure, controlli e rischi erariali.
Emergono chiarimenti fondamentali: non basta l’importo (nel caso specifico, circa 115.000 €) per decidere autonomamente la modalità di affidamento. Anche se rientra nella soglia dei 140.000 € che consente l’affidamento diretto secondo il Codice degli Appalti (D.Lgs. 36/2023), qualora il compito sia di natura consultiva — cioè un “contributo conoscitivo qualificato” — va considerato secondo le previsioni dell’art. 7 del D.Lgs. 165/2001.
Nel caso oggetto dell’accertamento, un Comune aveva incaricato una società per redigere uno studio urbanistico finanziato dai fondi UE, qualificandolo come servizio di ingegneria e architettura e attivando l’affidamento diretto. La Corte, tuttavia, ha precisato che la prestazione non aveva natura imprenditoriale, né vincolante: si trattava di un supporto intellettuale al processo decisionale, non di uno studio esecutivo.
A questo si accompagna un richiamo all’importanza di una verifica interna rigorosa: inviare lettere ai capi dipartimento non basta a dimostrare l’impossibilità di reperire professionalità interne; serve un’analisi oggettiva e motivata, anche mediante comparazione di preventivi, secondo le disposizioni vigenti, pena l’assunzione di una responsabilità erariale.
La corte riafferma il principio: un appalto implica che il prestatore organizza i mezzi, assume il rischio e offre un risultato vincolante, mentre in una consulenza, l’ente rimane libero di accogliere o meno i suggerimenti forniti.
È evidente che una qualificazione errata non è un mero formalismo, ma un elemento determinante per la legalità, l’efficienza della spesa pubblica e la tutela dell’ente affidante.
Dalla documentazione e dagli approfondimenti emersi online si ricava un quadro più preciso del tema. La delibera n. 89/2025/VSG del 24 luglio 2025 della Corte dei Conti Emilia-Romagna ha chiarito che la differenza tra un incarico di consulenza, disciplinato dall’articolo 7 del D.Lgs. 165/2001, e un appalto di servizi, regolato dal Codice degli Appalti, non risiede soltanto nella forma contrattuale scelta dall’ente, ma soprattutto nella natura della prestazione. Gli incarichi a carattere conoscitivo, anche se affidati a società tecniche, non possono essere considerati alla stregua di servizi ingegneristici vincolanti, poiché il loro scopo è quello di offrire un supporto intellettuale non esecutivo. In questo contesto, la Corte ha richiamato l’obbligo per le amministrazioni di svolgere una verifica interna approfondita, motivata e documentata, al fine di dimostrare l’impossibilità di utilizzare personale già disponibile. Un accertamento superficiale, come quello limitato all’invio di semplici richieste interne senza ulteriori riscontri, non è ritenuto sufficiente e può esporre l’ente a sanzioni erariali. La distinzione, dunque, non dipende dal soggetto incaricato, ma dal contenuto della prestazione e dal modo in cui viene impostato il rapporto contrattuale, elementi che determinano in modo sostanziale la corretta qualificazione giuridica.
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